La rivolta di massa in Cina – Dove si va ora?

Le proteste più importanti dal movimento per la democrazia del 1989.

Proteste contro le restrizioni pandemiche e per commemorare le vittime dell’incendio a Urumqi (27/11/2022). REUTERS/Thomas Peter

Scritto da Li Yong e Vincent Kolo, ChinaWorker.info. Pubblicato orginariamente il 29 novembre 2022 su InternationalSocialist.net

Nel momento in cui scriviamo, la polizia si sta ammassando nelle città cinesi nel tentativo di reprimere la recente ondata di proteste. Continuano le proteste nelle università. Il prossimo fine settimana potrebbe vedere nuove proteste di piazza nelle città di tutto il Paese. Le manifestazioni che hanno travolto la Cina negli ultimi giorni rappresentano la più grande sfida negli ultimi trent’anni contro la dittatura del cosiddetto Partito Comunista (PCC) e contro il suo neo-incoronato “imperatore” Xi Jinping.

Dopo tre anni di controlli e chiusure soffocanti e indicibilmente brutali per la politica “Zero Covid”, la gente ha raggiunto il limite della sopportazione. Sebbene “Zero Covid” e l’incendio mortale di giovedì nello Xinjiang abbiano agito da detonatore, l’attuale ondata di proteste è molto più di un movimento contro la politica anti-pandemica, per quanto importante sia questo tema.

Le proteste studentesche in più di 80 università del Paese hanno gridato “Libertà o morte” – parola d’ordine della lotta del 1989, di cui la maggior parte dei giovani cinesi è completamente all’oscuro. Le rivendicazioni per diritti democratici e per la fine della dittatura si sono unite all’indignazione per l’insistenza follemente antiscientifica della dittatura nel voler uccidere a tutti i costi un virus che non sembra eliminabile.

Nell’ultima settimana, i tassi di infezione giornalieri da Covid hanno raggiunto un record di oltre 40.000. Sebbene sia ancora basso rispetto ai livelli di molti Paesi occidentali al culmine della pandemia, la risposta del governo è inevitabilmente un maggior numero di chiusure, perché si è ormai stabilito che “Zero Covid” sarà un successo.

La dittatura ha seguito ciecamente una strategia fallimentare, rafforzata dal ruolo personale di Xi Jinping: a) ha utilizzato la “Zero Covid” come arma nella lotta di potere interna al PCC, costringendo i governi regionali a mostrare “lealtà”, b) ha usato questa politica per potenziare in modo massiccio le capacità di sorveglianza e controllo della dittatura.

La strategia “Zero Covid” di Xi ha sminuito la vaccinazione e si è concentrata invece su test intensivi di massa, tracciamento dei contatti, quarantena e chiusure brutali. Un milione di cinesi – tra cui la famiglia di uno degli autori – si trova attualmente in centri di quarantena (fancang), ampiamente descritti come “peggiori delle prigioni”. Secondo Nomura, che fornisce aggiornamenti settimanali, ben cinquanta città, con circa un quarto della popolazione cinese, si trovano attualmente in una qualche forma di isolamento.

Un cambio di rotta sostanziale, come un passaggio alla posizione di “coesistenza con Covid” adottata dalla maggior parte degli altri governi, rischia di travolgere il settore sanitario cinese, che dispone di risorse insufficienti, e di provocare centinaia di migliaia di morti. Un recente studio di Bloomberg Intelligence ha mostrato che la Cina ha solo quattro letti di terapia intensiva ogni 100.000 persone, una percentuale molto inferiore a quella dei Paesi sviluppati. Un’inversione di rotta ora sarebbe anche un’umiliante sconfitta personale per Xi Jinping, visto che questa è considerata la sua politica di punta. Pertanto, il dittatore si trova in uno “zugzwang politico”, come ha sottolineato Clara Ferreira Marques, editorialista di Bloomberg, usando un termine scacchistico che significa che un giocatore è costretto a fare una mossa, ma ogni mossa peggiora la situazione.

Segnali di allarme

I segnali di un’imminente esplosione sociale sono chiari. La rivolta di massa ad ottobre di migliaia di lavoratori della più grande fabbrica di iPhone del mondo (Foxconn) a Zhengzhou, ha avuto un effetto enorme sulla coscienza di massa, poiché queste scene sono state ampiamente viste sui social media, nonostante i migliori sforzi dei censori. La città di Urumqi, dove è iniziata l’ultima ondata di proteste senza precedenti, è rimasta chiusa per un centinaio di giorni, accompagnata – come in quasi tutte le chiusure – da carenza di cibo e medicinali.

Le chiusure hanno dato origine a una crisi di salute mentale di proporzioni inimmaginabili. Già nel 2020, un sondaggio nazionale ha rilevato che quasi il 35% degli intervistati stava affrontando un disagio psicologico a causa della pandemia. Quest’anno, il Ministero della Salute si è rifiutato di rilasciare statistiche sui suicidi.

Molte delle università che ora sono esplose in proteste spontanee contro le chiusure e il governo hanno sperimentato diverse ondate di lockdown, con studenti intrappolati per settimane nei loro dormitori, lamentando la mancanza di qualsiasi prodotto necessario, compresi i prodotti sanitari. Quando è iniziata la Coppa del Mondo di calcio in Qatar, l’effetto in Cina è stato scioccante. La vista di folle enormi senza maschere o restrizioni visibili contro il Covid ha spinto alcuni a chiedersi “la Cina è sullo stesso pianeta?”.

Un compagno in Cina ha descritto la situazione come segue: “Da quello che posso vedere nella mia cerchia personale, a parte alcuni burocrati e giovani dipendenti pubblici che non commentano affatto, quasi tutti sono al fianco dei manifestanti – compresa la solita ‘maggioranza silenziosa’”.

“Ciò che è degno di nota in questa tempesta è che il malcontento nei confronti del regime di Xi è venuto alla ribalta, con il pubblico che non limita più la propria rabbia ai funzionari locali o ad altri membri della cerchia ristretta del regime, ma persino a Xi stesso”.

Dieci morti a Urumqi

La rabbia accumulata dalla popolazione per la politica “Zero Covid” è infine esplosa il 26-27 novembre, quando la gente si è riunita in tutto il Paese per chiedere la revoca dei blocchi, arrivando a smantellare e distruggere le recinzioni e gli impianti di testaggio, attaccando i funzionari addetti alla prevenzione della pandemia e la polizia che si sono messi in mezzo. Il 27 novembre, gli studenti di almeno 85 università in tutto il Paese avevano inscenato proteste, con numeri che variano da decine a centinaia.

Le proteste sono state innescate da un incendio avvenuto il 24 novembre in un condominio di un quartiere uiguro di Urumqi, la capitale della provincia dello Xinjiang. Urumqi è una città per l’80% di etnia Han. Questo fatto ha un grande significato quando vediamo l’unità spontanea dimostrata da Han e Uiguri, nonostante anni di propaganda ferocemente razzista del PCC contro gli Uiguri, tacciati di “terroristi”.

L’incendio in sé non era di grandi dimensioni, ma le autopompe dei vigili del fuoco non sono arrivate in tempo per spegnerlo a causa delle barriere erette per imporre le chiusure anti-covid. Si sospetta che le vittime non siano riuscite a fuggire perché le porte e le vie di fuga erano bloccate. I filmati delle persone che gridano per farsi aprire le porte sono stati ampiamente diffusi online prima di essere cancellati dalla censura.

Dieci persone, tutte uiguri, sono rimaste uccise nell’incendio, anche se secondo alcuni resoconti online il bilancio delle vittime sarebbe più alto. I funzionari del PCC si sono poi sottratti alle loro responsabilità, negando che le uscite fossero bloccate e incolpando i residenti di non conoscere le vie di fuga. Ciò ha ulteriormente alimentato la rabbia popolare e quella notte un gran numero di cittadini di Urumqi, sia Han che Uiguri, ha infranto le barriere pandemiche e ha marciato verso gli uffici del governo cittadino per protestare.

I semi della rivolta sono stati piantati nel cuore della popolazione a seguito di successivi disastri collaterali che hanno causato la perdita di vite umane. Tra questi, l’incidente dell’autobus nella provincia di Guizhou, che ha causato la morte di 27 passeggeri inviati a forza in un centro di quarantena remoto, e le innumerevoli tragedie di persone morte perché rifiutate di essere ricoverate in ospedale senza un test PCR negativo.

Nelle ultime settimane, persone e lavoratori in luoghi come Zhengzhou e Guangzhou hanno sfondato le barriere anti-pandemiche e affrontato la polizia. A Chongqing, un video di giovani che gridano “libertà o morte” davanti alle linee di polizia ha colpito molte persone. Le proteste di Urumqi hanno scatenato un’ondata che si è propagata in tutto il Paese in due giorni, accendendo la rabbia e il malcontento che si sono accumulati sotto la disumana politica “Zero Covid”, ma che vanno ancora più a fondo. Le dure politiche pandemiche di Xi Jinping hanno anche messo a nudo per milioni di persone la realtà di una dittatura soffocante e brutalmente repressiva. Ha mostrato fino a che punto il regime è disposto a spingersi con la repressione e la sorveglianza.

“Abbasso il Partito Comunista!”

La notte del 26 novembre, la gente di Shanghai ha sfondato il cordone anti-pandemico e ha marciato lungo Wulumuqi Road, dal nome della città di Urumqi, per rendere omaggio alle vittime dell’incendio e sfogare la propria rabbia. Giorni dopo, la polizia ha rimosso tutti i cartelli stradali di Wulumuqi Road come parte delle misure adottate per prevenire altre proteste. La folla di Shanghai si è unita al canto “Abbasso il Partito Comunista! Abbasso Xi Jinping!”. Hanno anche bloccato fisicamente le auto della polizia e lottato per liberare i manifestanti che erano stati arrestati dalla polizia. Le manifestazioni sono continuate per tutto il giorno e la sera del 27 novembre, con la gente che chiedeva il rilascio dei manifestanti arrestati. Oltre a Shanghai, grandi proteste sono scoppiate a Beijing, Nanchino, Guangzhou, Chengdu, Wuhan e in altre città.

Dal 1989 la Cina non ha mai visto un movimento su scala nazionale. Le attuali proteste non sono ancora a quel livello, ma vedremo come si evolverà la situazione. La crisi economica e sociale della Cina è per molti versi più grave di quella di allora. Le proteste attuali provengono da molti strati sociali: lavoratori migranti come a Zhengzhou e Guangzhou, studenti, minoranze etniche come gli uiguri e molte giovani donne in prima linea nelle manifestazioni. Ci sono molti elementi diversi nella coscienza politica che si sta sviluppando, ma questa è già andata oltre il movimento contro le restrizioni pandemiche e si è trasformata in richieste politiche per la democrazia, contro la repressione, per la fine della dittatura e per la rimozione di Xi Jinping.

A Urumqi, il governo locale ha fatto immediatamente un’inversione di rotta dopo l’incendio, annunciando che il focolaio di Covid in città era stato “risolto” e che quindi i controlli erano stati allentati. Ma la gente ha continuato a scendere in strada per protestare. Molti altri governi hanno adottato una posizione simile, annunciando frettolosamente la revoca delle chiusure e apportando alcune modifiche di facciata.

Si tratta della classica strategia del PCC per disinnescare le proteste con una  “carota” iniziale, cioè concessioni, seguita dal “bastone” della repressione e degli arresti. Sui social media è stato espresso un diffuso scetticismo sul fatto che, come a Urumqi, il virus sia scomparso istantaneamente e miracolosamente. La dittatura del PCC è famosa per rilasciare promesse e concessioni “false”. Ha smobilitato innumerevoli proteste ambientali annunciando la chiusura delle industrie inquinanti, per poi permettere loro di continuare una volta disinnescati i disordini immediati. A Wukan, nella provincia di Guangdong, le autorità del PCC hanno promesso elezioni locali limitate per disinnescare le proteste contro l’appropriazione illecita delle terre e la corruzione. Le elezioni sono state truccate e poi è iniziata la repressione, con molti dei leader della protesta ora in prigione o in esilio. “Ci hanno dato un assegno di un milione di dollari”, ha detto in seguito un attivista di Wukan, “ma lo abbiamo rifiutato”.

In questa ondata di proteste, cinesi Han e Uiguri hanno dimostrato solidarietà e superato le divisioni create strategicamente dal PCC. A Urumqi si sono viste scene commoventi di persone Han che venivano applaudite e abbracciate dagli Uiguri di passaggio mentre affiggevano striscioni per le strade per piangere le vittime dell’incendio di giovedì. Alcuni commentatori dei media cinesi hanno descritto questa situazione come senza precedenti dagli eventi del 5 luglio (mortali scontri interetnici e pogrom) nello Xinjiang nel 2009.

Quali rivendicazioni?

Nei campus universitari, un gran numero di studenti si è unito alla solidarietà. All’Università Tsinghua di Beijing, il 27 novembre, centinaia di studenti hanno tenuto in mano fogli bianchi in segno di protesta, gridando “democrazia, stato di diritto, libertà di espressione” e “Viva il proletariato”, intonando anche l’Internazionale.

A differenza delle proteste precedenti, l’ondata attuale mostra un cambiamento verso un’opposizione più esplicita alla dittatura, con rari slogan diretti contro il PCC e Xi Jinping che sono stati ampiamente ripresi. Anche in questo caso, si tratta della prima volta dal 1989. L’incidente del ponte Sitong di ottobre, quando un manifestante solitario, Peng Lifa, ha appeso striscioni nel centro di Beijing con slogan contro la dittatura, ha chiaramente influenzato molte delle rivendicazioni che vengono sollevate oggi. Se nella maggior parte dei Paesi una protesta individuale non avrebbe avuto un impatto così grande, in Cina, dove tutte le organizzazioni indipendenti, la politica e i diritti democratici sono vietati, l’effetto è stato elettrizzante.

Nella nostra dichiarazione sulla protesta del ponte Sitong (“New Tank Man protest gets huge response”, chinaworker.info, 17 ottobre) abbiamo riconosciuto questo impatto e abbiamo accolto molti degli slogan degli striscioni, spiegando allo stesso tempo che non si trattava di un programma sufficientemente completo o chiaro per la costruzione di un movimento che sfidasse il governo del PCC. Alcune delle richieste – a sostegno della “riforma” – purtroppo rafforzano l’illusione che la dittatura, o alcune delle sue fazioni d’élite, siano in grado di riformarsi e di offrire concessioni democratiche.

Il PCC ha dimostrato più volte che si tratta di un presupposto falso, le promesse non vengono mantenute. La promessa del PCC di concedere diritti democratici limitati a Hong Kong è stata ritirata. Se il PCC non ha potuto tollerare una forma alterata e limitata di “democrazia” borghese nell’entità relativamente separata di Hong Kong, sicuramente non può tollerarla in Cina.

I marxisti e chinaworker.info hanno dimostrato nei nostri articoli che nessun sistema autocratico nella storia è mai stato “riformato”. Le lotte di massa, per lo più guidate da un’ondata di scioperi e da interventi decisivi del movimento operaio, sono sempre state gli ingredienti chiave di un movimento vincente per sconfiggere un regime dittatoriale e conquistare i diritti democratici. La sconfitta e la successiva repressione del movimento di Hong Kong nel 2019, nonostante gli eroici sforzi del suo popolo, dimostra che non c’è possibilità di “riforma”, né di incontro a metà strada, con una dittatura che per sua natura deve mantenere il pieno controllo.

La rabbia di massa contro la politica “Zero Covid”, che si identifica personalmente nella figura del leader Xi Jinping, ha ulteriormente alimentato l’opposizione alla dittatura. Lo scoppio delle proteste è senza dubbio un’umiliazione e una grossa batosta per Xi, che ha appena iniziato il suo terzo mandato. Al momento dell’incoronazione di Xi, in occasione del XX Congresso del PCC, avevamo previsto: “Qualunque sia il risultato, non cambierà fondamentalmente le prospettive del regime del PCC, che si sta dirigendo verso la più grande di tutte le tempeste” (chinaworker.info, Xi Jinping’s 20th Congress caps five years of political disasters, 17 ottobre).

Ci sono molte analogie tra la situazione odierna in Cina e la rivolta iraniana. In entrambi i casi, un incidente brutale ha innescato un movimento di protesta a livello nazionale in cui le richieste politiche contro l’intero regime hanno iniziato a emergere. È stata anche evidenziata l’impressionante unità tra diversi gruppi etnici che hanno superato istintivamente la feroce propaganda razzista e nazionalista. Anche a Hong Kong, nel 2019, il movimento di massa è scoppiato per la questione della nuova legge sull’estradizione, ma nel giro di poche settimane la questione è stata superata da un’ondata dopo l’altra di proteste che hanno avanzato rivendicazioni per dei diritti democratici e per la fine della repressione statale.

Lezioni da Hong Kong

Una caratteristica importante delle proteste odierne in Cina sono le numerose espressioni pubbliche di rammarico: “Avremmo dovuto sostenere Hong Kong”. Questo dimostra che il processo di presa di coscienza sta iniziando. Per far sì che la lotta in Cina vada avanti, ci sono lezioni importanti su cosa ha causato la sconfitta del movimento di Hong Kong. A questo non mancava la maggioranza o la militanza, ma le organizzazioni di massa, soprattutto di organizzazioni operaie, per sostenere la lotta attraverso le numerose intemperie, gli attacchi del governo e la disinformazione. Era un movimento isolato in una sola città e quindi non poteva sperare di sconfiggere la dittatura del PCC. Il predominio dell’ideologia liberale all’interno della lotta di Hong Kong, la fallimentare strategia di compromesso dei partiti di opposizione pan-democratici e la mentalità ancora più estremista e ripiegata su se stessa dei localisti di Hong Kong sono diventati un ostacolo autoinflitto.

Una filosofia anti-organizzativa, che si affida solo allo spontaneismo e alle piattaforme online, ha anche ostacolato la lotta di Hong Kong, perché quando si affronta uno Stato spietato con enormi risorse, sono necessari pianificazione, strategia, sviluppo di un programma chiaro, comprensione di una società e di un sistema di governo alternativi. E questo richiede organizzazione: sindacati operai e studenteschi, comitati popolari di protesta e, cosa fondamentale, un partito della classe lavoratrice con un chiaro programma per i diritti democratici e il socialismo.

Quest’ultimo dimostrerebbe che la dittatura del PCC è inestricabilmente legata al capitalismo cinese. È la più grande corporazione industriale e finanziaria del mondo, con un proprio esercito e una propria forza di polizia. Le illusioni sulla democrazia capitalista, che di solito e forse inevitabilmente occupano uno spazio in ogni lotta antiautoritaria, devono essere contrastate con chiari avvertimenti – come abbiamo fatto durante la lotta di Hong Kong – che l’unico modo per conquistare i diritti democratici è rompere fin dal principio con il capitalismo, il sistema su cui poggia la dittatura del PCC.

Xi Jinping, come al solito, è sparito dalla circolazione di fronte a una grave crisi, ma non possiamo sottovalutare la determinazione e la ferocia della repressione a sangue freddo del PCC. Il PCC non accetterà a cuor leggero le rivendicazioni delle masse, nemmeno quelle parziali di un cambiamento della politica pandemica, per timore di risollevare il loro morale e provocare quindi una reazione a catena che potrebbe portare ad altre lotte di massa. Tanto meno il PCC accetterà riforme democratiche anche limitate che, nel contesto cinese, viste le dimensioni dei profondi problemi sociali ed economici, farebbero saltare la dittatura.

La classe potenzialmente vincitrice, in Cina come ovunque, è la classe lavoratrice, che è già un attore significativo nelle proteste, ma non ha organizzazioni di alcun tipo, nemmeno sindacali, per lottare per le sue condizioni sul lavoro. La classe operaia, organizzandosi prima nei luoghi di produzione e poi nella società in generale, è la forza trainante naturale e di fatto l’unica coerente per un movimento vincente contro la repressione, la dittatura e il capitalismo.

Per porsi alla testa dell’attuale ondata di protesta, gli operai devono lanciare l’appello per un movimento di sciopero, facendo appello anche agli studenti affinché seguano il loro esempio. Lo sciopero generale sarebbe l’arma più potente contro la dittatura di Xi, se fosse collegato all’organizzazione attraverso comitati di sciopero, nuovi sindacati indipendenti e un nuovo partito operaio per il socialismo democratico.

Rivendichiamo:

  • Solidarietà attiva con la rivolta di massa in Cina – scateniamo altre proteste.
  • Basta con i lockdowns, porre fine alla follia di “Zero Covid”.
  • Intensificare il movimento con scioperi studenteschi e operai.
  • Investimenti massicci per costruire ed equipaggiare il settore sanitario, intensificare il programma di vaccinazione e porre immediatamente fine al divieto di vaccini stranieri a base di mRNA.
  • Portare le aziende farmaceutiche e quelle super redditizie legate al Covid sotto la proprietà pubblica e democratica, senza alcun indennizzo, e riversare le loro risorse nel sistema ospedaliero pubblico.
  • No alla “996”. I giovani e i laureati vogliono posti di lavoro e salari dignitosi, bisogna aumentare i salari minimi e nazionalizzare tutte le aziende che non pagano i propri impiegati.
  • Costruzione di un forte sistema di welfare e garantire pensioni dignitose e assicurazione medica e sussidi di disoccupazione per tutti.
  • Pieni diritti democratici immediatamente: libertà di parola, libertà di stampa, fine della censura, libertà di riunione, diritto di sciopero, diritto di organizzazione.
  • Costruzione di sindacati dei lavoratori e degli studenti indipendenti e democratici.
  • Costruzione di comitati clandestini per coordinare, strategizzare e costruire la lotta di massa. Utilizzare i social media, ma riconoscerne i limiti: è necessaria una vera organizzazione, come dimostra la sconfitta a Hong Kong di un movimento puramente spontaneo.
  • Libertà per prigionieri politici.
  • Abolizione della legge sulla sicurezza nazionale. Abolizione dei campi di prigionia. Diritti democratici per Hong Kong, Tibet e Xinjiang, compreso il diritto all’autodeterminazione.
  • Lotta unitaria della classe operaia in Cina, Hong Kong, Xinjiang e Taiwan contro il nazionalismo e il capitalismo.
  • Nessuna illusione sull’autoriforma del regime del PCC. Abbasso Xi Jinping e la dittatura. Abbasso la repressione di Stato. Bisogna sciogliere la polizia segreta.
  • Per un’assemblea popolare rivoluzionaria eletta a suffragio universale, con il dovere di introdurre autentiche politiche socialiste per confiscare le ricchezze dei miliardari e dei capitalisti “rossi”.
  • Per il socialismo internazionale. Niente guerra fredda, ma lotta di classe contro i capitalisti dell’Est e dell’Ovest.