Francia: Violenza sociale, razzista e poliziesca, tutto il sistema è colpevole!

È un omicidio… l’ennesimo! Trasformiamo la nostra rabbia in un movimento di massa nei quartieri e nei luoghi di lavoro! 

L’orribile omicidio razzista del giovane Nahel da parte di un agente di polizia a Nanterre il 27 giugno ha scatenato un’ondata di indignazione e di rivolta contro il razzismo sistemico e l’implacabile violenza della polizia, in particolare contro i giovani di origine nordafricana o dell’Africa subsahariana. Il movimento sociale contro la riforma delle pensioni e la rivolta dei giovani nei quartieri popolari devono essere combinati e approfonditi per organizzare e costruire un’azione di massa contro la violenza razzista della polizia e contro il sistema capitalista.

Dichiarazione di Alternative Socialiste Internationale – Francia

La cronaca è nota. Durante un controllo di polizia, Nahel Merzouk, un adolescente di 17 anni, è stato colpito mortalmente da un agente. Questi lo aveva minacciato con la sua pistola pochi secondi prima, dicendogli di spegnere il motore o “ti sparo in testa”. Spaventato e in preda al panico, Nahel ha acceso l’auto. Gli hanno sparato direttamente alla spalla e al petto, senza lasciargli alcuna speranza di sopravvivere. La storia sarebbe potuta finire lì, come tante altre volte in passato. La polizia avrebbe invocato la legittima difesa di fronte a un veicolo che “sperona” un agente. Ma un video ha ripreso la scena e ha immediatamente rivelato la menzogna della polizia. 

Nahel si aggiunge a una lunga lista di giovani di origine nordafricana o dell’Africa subsahariana uccisi durante azioni di polizia. 15 giorni prima di Nahel, un altro giovane, Alhoussein, di 19 anni, è stato ucciso dalla polizia ad Angoulême mentre usciva per andare al lavoro. 

Per questi giovani l’ingiustizia è sistematica. I casi vengono spesso archiviati e gli assassini della polizia vengono raramente condannati. La paura di trovarsi di fronte a un posto di blocco è accompagnata dall’odio per le istituzioni di un sistema che esiste solo per opprimere e umiliare questi giovani dei quartieri popolari.

Questa rivolta è la voce di coloro che non vengono ascoltati. Per far sentire la loro voce e quella di tutte le altre vittime della violenza della polizia, e per ottenere giustizia, è necessario costruire un movimento di massa. La sinistra sindacale e politica deve impegnarsi in una solidarietà attiva. 

Macron accumula le crisi

L’omicidio di Nahel rappresenta una nuova crisi per il governo Macron, che è stato costretto ad ammettere l’esistenza di un problema. “Inspiegabile” e “imperdonabile”, ha dichiarato Macron dopo aver visto il filmato dell’omicidio. Questo chiaramente non è piaciuto ai sindacati reazionari della polizia, come Alliance, che si sono sentiti traditi dal Presidente. 

L’omicidio di Nahel ha messo in difficoltà anche l’estrema destra. Il programma del Rassemblement National di Marine Le Pen prevede, ad esempio, di consentire agli agenti di polizia di usare la forza in base alla presunzione di legittima difesa. Tale presunzione esiste già in molti casi, ma il RN vuole renderla indiscutibile in ogni caso, oltre a rendere impossibile, ad esempio, la presentazione di una denuncia contro gli agenti di polizia. Basti pensare che quando i giornalisti le hanno passato il microfono dopo la morte di Nahel, la Le Pen non si è mostrata spavalda come su solito e ha risposto che avrebbe parlato più tardi, perché presumibilmente “non aveva ancora visto il video”…

Ma per la destra e l’estrema destra ogni crisi rappresenta un’opportunità. E la loro risposta non si è fatta attendere, con la strumentalizzazione delle rivolte iniziate nei quartieri dopo questo nuovo omicidio.

“La rivolta è il linguaggio di chi non è ascoltato”. – Martin Luther King

Fin dalla prima notte dopo l’omicidio di Nahel, migliaia di giovani, soprattutto di origine immigrata, sono insorti nei quartieri popolari delle grandi città. Ci sono molti riferimenti alle rivolte del 2005 in seguito alla morte dei giovani Zyed Benna e Bouna Traoré durante un’azione di polizia a Clichy-sous-Bois.

Ma questi paragoni spesso trascurano un punto importante: dal 2005 sono cambiate molte cose, e non solo la preesenza ingombrante dei social network. 

Infatti, negli ultimi 20 anni la mancanza di investimenti nei servizi pubblici si è aggravata in modo esponenziale di anno in anno. Le politiche di austerità e i tagli di bilancio che hanno caratterizzato il periodo del neoliberismo dall’inizio degli anni ’80 hanno causato danni incommensurabili. Questo è particolarmente sentito dalle persone economicamente più vulnerabili. Tanto che in alcuni quartieri, i pensionati che vivono in case popolari con un reddito troppo basso per pagare l’affitto vengono aiutati finanziariamente da persone più giovani per poter continuare a vivere nella propria casa.

Già nel 2005, questa mancanza di prospettive era evidente per ampie fasce di giovani che vivevano in questi quartieri, in particolare per quelli di origine immigrata. Quali prospettive offre il presente? Le condizioni di vita sono crollate, la frustrazione e la rabbia sono più forti che mai. Ridurre le ragioni dell’attuale esplosione di rabbia ai social network o ai “videogiochi” (come ha ridicolmente detto Macron) è soprattutto un modo per minimizzarne le ragioni sociali. Il motivo per cui questa rabbia si è diffusa così rapidamente in tutta la Francia, e non solo nelle grandi città, è che queste ragioni sono sistemiche.

Nelle rivolte di questi giorni, la polizia si trova di fronte a giovani che sono stati discriminati e umiliati fin dalla più tenera età, un processo che si è accentuato durante la pandemia del Covid 19. Questi giovani sono sempre stati trattati con particolare durezza dalla polizia per una questione razziale.

Ma la risposta delle autorità è stata “ancora di più!” Ancora una volta, più “sicurezza”, con mobilitazioni di polizia record, carri armati che marciano arroganti per le strade dei quartieri e persino l’invio di unità dedicate alla gestione degli ostaggi o all’antiterrorismo (BRI, GIGN, RAID). Ci sarà anche il coprifuoco e la chiusura dei trasporti pubblici durante la notte. Allo stesso tempo, il ministro della Giustizia, Éric Dupond-Moretti, ha inviato una circolare ai pubblici ministeri chiedendo “una condanna penale rapida, ferma e sistematica” nei confronti dei giovani arrestati durante le manifestazioni.

Non c’è modo migliore per alimentare la rabbia, quando la morte del giovane Nahel è avvenuta da appena una manciata di giorni. Come se una maggiore sicurezza potesse risolvere un cocktail esplosivo di discriminazione e umiliazione razzista creato dalle istituzioni e dalla perdita di punti di riferimento e di un futuro. 

Con la violenza della polizia, le autorità mirano molto consapevolmente a stimolare altra violenza da parte dei giovani in rivolta, per distogliere l’attenzione e cercare di seminare discordia nella nostra classe sociale.

Questa risposta autoritaria del governo sta rinforzando le organizzazioni di estrema destra. I sindacati reazionari Alliance e Unsa Police hanno gettato ulteriore benzina sul fuoco, con un comunicato razzista del 30 giugno che invitava a inasprire la repressione: “Di fronte a queste orde selvagge, non basta più chiedere la calma, bisogna imporla”; “Non è il momento dell’azione sindacale, ma della lotta contro questi ‘parassiti'”; “Oggi gli agenti di polizia combattono perché siamo in guerra. Domani saremo nella resistenza e il governo dovrà rendersene conto”. (Si noti che l’UNSA Educazione e il Segretario generale dell’UNSA hanno condannato il comunicato stampa). Questo è un riflesso della polarizzazione che esiste e viene stimolata: un fondo a sostegno del poliziotto che ha sparato il colpo mortale ha raccolto 900.000 euro (al 3 luglio, da 25.000 donatori); è stato lanciato dal politico di estrema destra Jean Messiha, ex membro del RN e poi ex sostenitore di Éric Zemmour.

Violenza razzista e sociale; violenza della polizia; violenza del movimento

Le rivolte nei quartieri comprendono episodi di effrazioni, incendi dolosi e saccheggi. Innanzitutto è importante chiarire che la violenza principale è di tipo razzista e socio-economico e deriva dalle politiche perseguite dal sistema e ora da Macron. Sono queste le politiche che stimolano la rabbia e la sua espressione in modi diversi, tra cui la violenza. 

Inoltre la violenza viene per prima dalle forze dell’ordine. Tutto questo stimola anche la violenza dei quartieri.

Il governo e l’estrema destra ne approfittano, ma è fin troppo facile nascondere i problemi del sistema dietro questi scontri. Sono anche la conseguenza delle politiche portate avanti negli ultimi decenni e riprese da Macron, e quindi dell’odio che esiste verso le istituzioni. Gli obiettivi principali sono gli edifici che rappresentano le istituzioni, come i municipi e le stazioni di polizia, nonché i negozi delle grandi catene commerciali, oltre ad altri oggetti dati alle fiamme.

È un’espressione di rabbia cieca contro il sistema, ma ovviamente non è la soluzione. Per questi quartieri, che soffrono di isolamento e povertà e sono già abbandonati dai servizi pubblici, è un danno doppio: spesso vengono colpiti beni pubblici, come autobus, spazi pubblici, scuole e farmacie, ma anche automobili appartenenti ai residenti di questi stessi quartieri. Purtroppo sono le nostre classi, i nostri quartieri, a subire le conseguenze di attacchi a proprietà che possono andare a beneficio dell’intera comunità, creando un cuneo tra i nostri ranghi.

Tali effrazioni, incendi dolosi e saccheggi possono anche essere sfruttati dal campo opposto per dividerci e indurire il suo approccio liberticida e giustificare l’apparato repressivo dello Stato. La classe dominante può quindi utilizzare proprio questi pretesti per mobilitare tutto il suo arsenale e in particolare utilizzare i mass media per distorcere la realtà dei fatti e indirizzare l’opinione pubblica.

Tutti questi scontri, incendi e saccheggi indeboliscono la protesta. È attraverso la forza dei numeri e l’unità nella lotta di tutta la classe operaia e dei giovani che potremo strappare soluzioni reali.

Quando lo Stato si occupa di questi giovani, lo fa per umiliarli

Da quando si è insediato nel 2017, Macron ha sferrato un attacco frontale ai lavoratori e ai giovani con politiche di austerità e restrizioni dei diritti sindacali. Ha anche accompagnato questa guerra alla classe lavoratrice con un maggiore autoritarismo dello Stato e delle sue forze dell’ordine, incoraggiando al contempo il razzismo sistemico insito nel sistema capitalista. Quando si attacca la maggioranza della popolazione, si deve dividerla per dominarla.

La politica di Macron contro i lavoratori e i giovani è stata un vero e proprio trampolino di lancio per la crescita del RN. Il razzismo di Stato e la costante stigmatizzazione si sono moltiplicati: dalla legge sulla sicurezza globale alla legge sul separatismo e alla caccia all'”islamofascismo”… Macron e i suoi governi non hanno mai smesso di alimentare le divisioni e di portare avanti battaglie con l’estrema destra. 

Non sorprende quindi che Marine Le Pen sia in testa nei sondaggi, nonostante il potente movimento sociale contro la riforma delle pensioni. Macron e i suoi ministri vogliono che il RN sia visto come la “vera” opposizione. Infatti, è per questo che sono loro, molto più del RN, a fomentare in maniera premeditata razzismo e divisione, in particolare con la legge sui Giochi Olimpici del 2024, la futura legge sull’immigrazione e l’operazione militare razzista contro gli immigrati comoriani a Mayotte (“Operazione Wuambushu”), come oggi con la risposta autoritaria e razzista di Darmanin e della sua polizia alle rivolte nei quartieri popolari.

Le politiche neoliberiste perseguite in particolare dalla “svolta dell’austerità” di Mitterrand nel 1983 e nei decenni successivi hanno svuotato i servizi pubblici, con conseguenze concrete sperimentate ovunque, ma soprattutto nei quartieri popolari dove si soffre la povertà. Abitazioni insalubri, prospettive di lavoro complesse, mancanza di accesso all’assistenza sanitaria e ai servizi pubblici di base: lì più che altrove il disinvestimento in tutti gli aspetti della vita si fa sentire. La mancanza di prospettive per il futuro è il denominatore comune di gran parte dei giovani che vivono in questi quartieri. E per cercare di mascherare questa povertà  il sistema ha ancora più bisogno dell’arma della divisione, in particolare del razzismo.

L’aggressività della polizia nei quartieri poveri, dove le persone di origine immigrata sono sovrarappresentate, ha lo scopo di tenere le persone intrappolate in alloggi e scuole al di sotto degli standard e di tenerle segregate. I politici razzisti cercano di dipingere queste popolazioni come una minaccia per i lavoratori “bianchi” e per la classe media, per ottenere un più ampio sostegno alle loro politiche repressive.

“Non c’è capitalismo senza razzismo” – Malcolm X

In questa società, il razzismo è sistemico. Come altre oppressioni (in particolare il sessismo e la LGBTQIA+fobia), il razzismo è un’arma usata consapevolmente dalla classe dirigente e dai suoi strumenti politici per imporre più facilmente le proprie politiche, evitando di confrontarsi con una classe lavoratrice unita.

Lo Stato francese ha sempre eccelso in questo. Dall’introduzione della schiavitù sulla base del commercio triangolare con le Indie Occidentali all’assassinio di Nahel, le autorità francesi hanno sempre applicato politiche che confinano le persone “di colore” in uno status di inferiorità, per lungo tempo apertamente, oggi non più a parole ma ancora nella pratica.

Il profiling razziale non è un mito: in Francia, una persona di colore o di origine nordafricana ha da 6 a 7 volte più probabilità di essere fermata rispetto a una persona bianca. Se a questo aggiungiamo che i giovani tra i 18 e i 25 anni hanno 7 volte più probabilità di essere fermati rispetto alla media, le statistiche mostrano che un giovane di colore o di origine nordafricana ha 20 volte più probabilità di essere fermato. E questo è solo uno studio, che probabilmente sottostima la realtà. 

Il razzismo è sistemico, e non solo nei controlli di polizia: discriminazione nelle assunzioni e nell’accesso agli alloggi, sottorappresentazione nell’istruzione e nella formazione che portano a posti di lavoro con condizioni di lavoro e retribuzioni migliori, sovrarappresentazione nei lavori non qualificati e meno retribuiti, ecc.

Violenza razzista e della polizia: la promessa dell’ingiustizia

È un dato di fatto che l’uso delle armi da parte della polizia e gli omicidi sono aumentati sotto Macron, anche se l’adozione della legge sull’uso delle armi da parte della polizia è stata introdotta nel febbraio 2017 sotto Hollande, dal primo ministro Bernard Cazeneuve, poco prima che Macron salisse al potere. Dal 2017 al 2021, l’uso delle armi da parte degli agenti di polizia è aumentato del 26% rispetto al periodo 2012-2016. C’è stato anche un aumento del 39% nell’uso delle armi contro un veicolo.

Ma la modifica della legge non è l’unico fattore di aumento della violenza della polizia. L’arrivo di Gérald Darmanin al Ministero dell’Interno ha invertito la tendenza delle morti come sottolinea la rivista online Basta! dal 2020 il numero di persone uccise dal fuoco della polizia è raddoppiato e il triplo delle persone è morto in seguito a un arresto.

Le condanne degli assassini della polizia sono estremamente rare. Possiamo immaginare che l’assassino di Nahel, vista l’esistenza di questo video e viste le pressioni, dovrebbe probabilmente essere condannato. Tanto più che è stato abbandonato da una parte dei suoi superiori e dalle autorità politiche, che stanno giocando la strategia della “mela marcia”, nel tentativo di evitare che l’intera istituzione venga colpita. Ma i giovani dei quartieri popolari sanno bene che non si tratta di un problema di singoli individui all’interno delle forze di polizia, ma di una violenza razzista diffusa, stimolata dalle autorità politiche e dalle stesse forze di polizia.

Il governo può nascondersi dietro il sempreverde “lasciamo che la legge faccia il suo lavoro”, ma molti di noi sanno che in questo tipo di casi, come in molti altri, la legge non fa ciò che dovrebbe. In una società composta da diverse classi sociali con interessi antagonisti, il ruolo delle varie istituzioni è in ultima analisi quello di difendere la classe dominante. Nella nostra società, questa è la classe capitalista. È proprio con la giustizia di classe che abbiamo a che fare.

Il ruolo dello Stato; il ruolo delle forze dell’ordine

Come ha spiegato Friedrich Engels più di cento anni fa, la nascita dell’apparato repressivo dello Stato – esercito, polizia, prigioni, ecc. – riflette storicamente la divisione della società in classi sociali con interessi antagonisti che non possono essere conciliati. Lo Stato è composto, secondo le parole di Engels, da “distaccamenti particolari di uomini armati”, che mantengono il conflitto di classe “entro i limiti dell’ordine”, ma in ultima analisi difendono gli interessi della classe dominante (per ulteriori letture: Stato e rivoluzione di Lenin). La repressione e la minaccia della violenza sono parte integrante della protezione della ricchezza e del dominio della classe dominante in una società diseguale come la nostra.

Per questo motivo la repressione da parte del braccio armato dello Stato capitalista è diffusa contro qualsiasi movimento sociale che minacci gli interessi della classe dominante. La furia della polizia contro il movimento dei Gilets Jaunes alla fine del 2018 e nel 2019 ha provocato  25.000 feriti, di cui 353 alla testa, 30 feriti di striscio e 6 mani amputate; oltre alla morte di Zineb Redouane, un anziana algerina che viveva a Marsiglia.

Anche l’importante movimento sociale contro la riforma delle pensioni è stato oggetto di un’impressionante repressione da parte della polizia: a Parigi, un sindacalista delle ferrovie SUD Rail è stato colpito da una granata disinnescante che gli ha cavato un occhio, mentre a Rouen una granata ha strappato il pollice di un lavoratore a sostegno degli alunni disabili (AESH). Nei settori e nelle aziende in cui il personale è stato in sciopero più volte (raffinerie, raccolta e trattamento dei rifiuti, ecc.), la violenza dello Stato capitalista si è manifestata anche attraverso le sue forze di giustizia e di polizia, con lo smantellamento di picchetti e la minaccia del personale per riprendere il lavoro.

Durante la pandemia, gli operatori sanitari sono stati ufficialmente applauditi dalle autorità, ma quando hanno manifestato per ottenere più risorse e personale, la risposta è sempre stata con manganelli e gas lacrimogeni.

Anche i giovani, soprattutto negli ultimi anni, sono stati vittime della repressione della polizia. La classe dirigente conosce il rischio che i giovani si sollevino e trascinino dietro di sé interi settori della classe operaia. Quando si sono mobilitati contro le politiche antiecologiche o contro l’arroganza antidemocratica di Macron durante il movimento contro la riforma delle pensioni, sono stati attaccati frontalmente. Gas lacrimogeni, manganellate, colpi di gomma, granate da sgombero, cariche della polizia contro i cortei, intrappolamento arbitrario e detenzione… 

A marzo, una registrazione audio ha mostrato che i giovani manifestanti arrestati erano stati schiaffeggiati, intimiditi, insultati (compresi insulti razzisti) e minacciati fisicamente da agenti di polizia della BRAV-M (Brigade de répression de l’action violente – motorizzata). Ci sono state anche segnalazioni di giovani donne molestate sessualmente mentre venivano portate in una stazione di polizia. L’obiettivo di tutto ciò è spaventare le persone e mettere a tacere i movimenti sociali.

La polizia non può essere “abolita” in una società capitalista. Finché i capitalisti saranno al potere, dovranno trovare un modo per proteggere i loro interessi e le loro proprietà. Né è possibile creare una forza di polizia “non razzista” finché il razzismo istituzionale e la segregazione rimangono insiti nella società. A volte si possono ottenere piccoli miglioramenti attraverso la lotta ma l’unica soluzione duratura è liberarsi del capitalismo stesso.

Per un movimento di massa della classe operaia e dei giovani contro la violenza del sistema!

Il movimento operaio deve svolgere un ruolo attivo nell’organizzazione e nell’incanalamento di tutta la rabbia e l’energia impiegata negli scontri e nei saccheggi. Questa rabbia non deve essere rivolta agli edifici pubblici e alle grandi catene, ma a ciò che si nasconde dietro di essi: il sistema stesso, che crea le condizioni per l’esistenza della violenza e si nutre di essa.

A metà giugno, la coalizione intersindacale ha dichiarato la fine del movimento contro la riforma delle pensioni. Si è trattato di un movimento sociale importante, che non ha ottenuto il ritiro della riforma, ma che ha pesato e peserà molto sulla coscienza sociale e politica durante i restanti 4 anni di mandato di Macron. In realtà, la battaglia sulle pensioni non è finita e settembre potrebbe segnare il rinnovo della lotta sindacale, sulle pensioni o su altre questioni. Il potenziale di lotta rimarrà esplosivo, con un’avanguardia rafforzata numericamente e qualitativamente, accanto ad ampi strati di lavoratori arricchiti da questa lotta storica e che hanno riacquistato fiducia nella forza della lotta collettiva. Tutto questo potenziale deve essere impegnato in una lotta di massa contro l’umiliazione e la violenza razzista e poliziesca.

Alla fine di maggio 2020, l’omicidio razzista di George Floyd da parte della polizia negli Stati Uniti ha fatto nascere il movimento #BlackLivesMatter. Decine di migliaia di persone si sono radunate per opporsi al razzismo sistemico e alla violenza della polizia in Francia, in particolare in risposta all’appello del comitato “Verità per Adama”. Un anno dopo, altre 150.000 persone sono scese in piazza in tutta la Francia. La natura strutturale del razzismo e della violenza della polizia è sempre più visibile e ampiamente riconosciuta. Il movimento Black Lives Matter ha permesso di sfidare la propaganda ufficiale. È una base su cui costruire ulteriormente il movimento.

Le migliaia di persone presenti alla Marcia Bianca organizzata a Nanterre il 29 giugno in omaggio a Nahel riflettono il desiderio di mobilitarsi per la verità e la giustizia, e perché le cose cambino. Queste mobilitazioni possono servire da esempio. Il movimento sindacale organizzato deve rivolgersi a queste fasce di giovani, che spesso non sono organizzate nei sindacati, per allargare la lotta a tutte le fasce della classe lavoratrice, fornire metodi di lotta e mostrare le prospettive per respingere le autorità e l’estrema destra.

Per costruire un buon equilibrio di potere, dobbiamo cercare di riunire e organizzare tutti coloro che vogliono combattere il razzismo, perché è attraverso l’azione collettiva e la mobilitazione di massa che si possono ottenere vittorie. Ciò che ci unisce è che siamo tutti vittime, in diversa misura, delle carenze sociali (mancanza di case popolari, di posti di lavoro dignitosi, di risorse nei servizi pubblici, ecc.)

Un programma che non lasci indietro nessuno

I sindacati sono troppo spesso inclini a concentrarsi sulle loro “roccaforti”, ma se questi possono e devono svolgere un ruolo di guida, è assolutamente fondamentale cercare di attirare nella loro scia i settori e gli strati meno sindacalizzati, e soprattutto i giovani, in particolare nei quartieri periferici. Questo è uno dei punti deboli della resistenza contro la riforma delle pensioni, ma è anche la chiave per un’ambiziosa campagna antirazzista. 

Durante il movimento contro la riforma delle pensioni, abbiamo proposto di istituire comitati di sciopero anti-Macron ovunque, nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, ma anche nei quartieri popolari. Dovrebbero essere comitati di ampia base, aperti a tutti, in grado di costruire la lotta democraticamente a partire dalla base, coinvolgendo attivamente tutti nella sua preparazione e organizzazione. Se tali comitati fossero stati istituiti, ora potrebbero fungere da trampolino di lancio per portare la rivolta contro il razzismo di Stato a un altro livello. 

Nei sindacati, molti attivisti sono ora impegnati nella solidarietà con le vittime della violenza razzista della polizia. Non si può dire lo stesso delle organizzazioni sindacali. I sindacati e i loro attivisti hanno un ruolo importante da svolgere nella costruzione di un movimento di massa che coinvolga attivamente tutti i settori della classe lavoratrice, i giovani e le popolazioni oppresse.

A ogni attacco razzista dobbiamo rispondere con la mobilitazione: una mobilitazione di massa che deve opporsi a tutte le politiche razziste quotidiane di cui sono vittime in particolare i quartieri popolari e le popolazioni della “Francia d’oltremare”, la cui gestione da parte dello Stato francese è una diretta conseguenza della sua storia imperialista. “La rivolta è il linguaggio di chi non è ascoltato”, diceva Martin Luther King. Diamo voce agli inascoltati attraverso la solidarietà attiva e la costruzione di un movimento di massa contro le politiche razziste. Il problema non può essere risolto affidandosi alle istituzioni dello Stato che perpetuano il razzismo sistemico.

Le condizioni di lavoro e le retribuzioni devono essere il fulcro delle rivendicazioni. Come minimo, dobbiamo difendere un aumento immediato del 10% di tutti gli stipendi e il ritorno della scala salariale mobile abolita da Mitterrand nel 1983 per tenere il passo con l’inflazione. Garantire l’accesso all’istruzione per tutti significa anche introdurre un salario studentesco equivalente al salario minimo. Per quanto riguarda i settori a bassa retribuzione, mettiamoli sotto controllo pubblico per garantire che il personale abbia un vero status, con buone retribuzioni e condizioni di lavoro. Abbiamo bisogno di un lavoro e di un tempo libero garantiti, e questo significa una riduzione collettiva dell’orario di lavoro, senza alcuna riduzione della retribuzione, con assunzioni compensative e una riduzione del ritmo di lavoro. 

Gli attivisti di FI e i sindacalisti hanno un ruolo da svolgere nella costruzione di un movimento di lotta unitario. Mélenchon ha ottenuto un risultato eccezionale nei quartieri popolari alle elezioni presidenziali del 2022, anche se l’alleanza NUPES che ne è seguita ha compromesso parte del sostegno, un accordo che non era condiviso da tutti, in particolare nei quartieri popolari, poiché conteneva elementi che si erano distinti nella gestione del sistema, che avevano portato avanti politiche locali contro gli interessi degli abitanti di questi quartieri.

Per una lotta socialista rivoluzionaria

Vivere in una società in cui nessuno debba temere la repressione statale e il razzismo significa liberarsi del capitalismo. L’unico modo per soddisfare i bisogni sociali di tutti senza discriminazioni è restituire il potere alla maggioranza.

Poniamo fine allo sfruttamento capitalistico delle due fonti di ricchezza, i lavoratori e la natura, nazionalizzando i settori chiave dell’economia sotto il controllo e la gestione democratica dei lavoratori. In questo modo sarebbe possibile passare a un’economia pianificata democraticamente che porrebbe le basi per l’annientamento di ogni oppressione, sfruttamento, violenza, disuguaglianza e ingiustizia. Questo è il progetto del socialismo rivoluzionario: rovesciare il capitalismo e consegnare razzismo, sessismo, LGBTQI+fobia e altre forme di discriminazione e oppressione alla pattumiera della storia.