Intervista in esclusiva con Francesco Iorio, membro del collettivo di fabbrica, raccolta il 13 Aprile 2023. Uscita in esclusiva nella seconda edizione cartacea di Lotta per il socialismo (Estate 2023)
Il collettivo di fabbrica della GKN di Campi Bisenzio (Firenze) è una delle più combattive realtà di militanza operaia italiana. Il 9 Luglio del 2021, la multinazionale GKN, proprietà del fondo finanziario Melrose, ha tentato di licenziare in tronco gli oltre quattrocento lavoratori impiegati nello stabilimento inviando una email di notifica durante una giornata di permesso collettivo e giustificandosi in maniera inconsistente ed ipocrita. A detta del padronato, lo stabilimento era redditizio ma non abbastanza. A seguito di un’assemblea collettiva, i lavoratori reagiscono occupando lo stabilimento. Seguiranno uno sciopero generale per la provincia di Firenze indetto il 19 luglio dai sindacati nazionali con l’appoggio dei sindacati di base e una manifestazione davanti ai cancelli della fabbrica il 24 luglio, alla quale partecipano 8000 persone. L’occupazione prolungata dello stabilimento e le mobilitazioni guidata dal collettivo porteranno a due manifestazioni a Firenze, la prima tenutasi il 18 settembre 2021 e presenziata da 40000 persone e la seconda il 25 Marzo 2023 con 20000 partecipanti. Il 20 Settembre 2021 il tribunale di Firenze ha riconosciuto la natura illegittima dei licenziamenti e la violazione dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori.
Il trasferimento della proprietà della fabbrica alla QF di Francesco Borgomeo a fine 2021 non ha comportato nessun cambiamento per i lavoratori. Ad oggi, Borgomeo si rifiuta di versare le dovute retribuzioni agli operai per tutte le mensilità dovute dal 9 ottobre del 2022, anche se una sentenza del tribunale del lavoro di Firenze, datata 23 marzo 2023, dà ragione ai lavoratori. Dall’Agosto del 2022 i lavoratori hanno dichiarato l’ex-GKN una fabbrica indipendente e socialmente integrata e hanno sviluppato un piano di riconversione industriale per lo stabilimento con il sostegno di esperti “solidali” al collettivo. I lavoratori si sono orientati verso la produzione sostenibile di batterie elettriche e pannelli solari: una produzione gestita dal collettivo in dialogo con le comunità locali e il territorio. La campagna di crowdfunding avviata per il suo finanziamento nel marzo del 2023 ha raggiunto l’obiettivo di 75000 euro in una ventina di giorni, per poi raddoppiarlo in poche settimane. I comunicati stampa del collettivo, con dettagli sulle loro campagne di militanza e sul crowdfunding, sono disponibili tramite la loro newsletter: https://actionnetwork.org/forms/newsletter-collettivo-di-fabbrica-gkn.
Il vostro collettivo di fabbrica esiste dal 2017. Potresti dirci qualcosa in più sulla storia del collettivo?
F: Noi nasciamo dallo stabilimento FIAT di Firenze. Nel ’94 FIAT decise di chiudere la sua filiale per poi vendere a GKN una parte della sua produzione a Campi Bisenzio. Cominciammo a produrre componenti per auto, una parte della produzione che faceva FIAT a Firenze. Con il cambio generazionale, cambiò anche RSU (cioè sindacato), introducendo una nuova direzione più giovane. Da quel momento, abbiamo pensato che uno stabilimento grande che allora contava 800 dipendenti avesse bisogno di un modo diverso di fare sindacato. Ci accorgemmo che nelle assemblee c’era una grande partecipazione all’ascolto ma molta meno partecipazione a intervenire. Ci rendemmo conto, attraverso le nostre esperienze di militanza sociale e politica, di aver bisogno di uno strumento che ci collegasse al mondo che ci circonda e allo stesso tempo ci permettesse di organizzarsi all’interno del nostro stabilimento. Da qui nasce il collettivo di fabbrica della GKN. Dal momento in cui si sviluppava una lotta sul territorio, che fosse una battaglia sul lavoro o un’altra azienda che chiudeva, il collettivo di fabbrica usciva dall’interno dello stabilimento per mostrare la nostra solidarietà e vedere quello che succedeva, partecipando quindi anche alle lotte di altre aziende in difficoltà con scioperi, raccolte fondi e una presenza consistente ai presidi. Questo è un modo diverso di intendere, almeno in Italia, quello che è fare il sindacato oggi. Perché al collettivo di fabbrica possono partecipare tutti, anche i non iscritti e tanto più i non facenti parte delle RSU. Tutta questa solidarietà ci ritornò sotto forma del sostegno datoci da tutti quelli che ci avevano già visto agire e ci conoscevano come collettivo di fabbrica.
Per quanto riguarda la struttura del collettivo, come prendete decisioni? Ci sono dei ruoli fissi?
F: Ruoli specifici non ci sono. Le decisioni del collettivo vengono prese in assemblee semplici, che spesso hanno luogo in diverse realtà, che siano sull’azienda dopo la fine del turno di lavoro o in altri circoli e spazi sociali la sera. Qui si discute delle iniziative da prendere o a cui si vuole partecipare, con la possibilità per ognuno di dire la sua. Si procede poi a una semplice votazione volta a decidere di quello che è meglio fare, quello che è meglio non fare. Chiunque può mettere avanti le proprie idee. Se sono discordanti si dibattono, c’è discussione fino a poter prendere delle decisioni. Non c’è né un presidente o un segretario, né chi contava di più o di meno. è tutto democraticamente partecipativo.
Lo sviluppo del vostro piano industriale è avvenuto in dialogo con esperti e istituzioni. Questo dialogo con presenze esterne come raggiunge il collettivo di fabbrica?
F: Molti solidali hanno messo a disposizione le loro competenze semplicemente perché ognuno voleva portare un modo diverso di vedere l’industria nel senso più generale del termine. Non un’industria che abbia a riferimento un industriale che produce finché va tutto bene dopodiché, come nel nostro caso, prende e se ne va. Qualcuno ha visto l’opportunità di sviluppare un’industria diversa, che si basi su principi solidali, sull’etica, sulla considerazione del cambiamento climatico e della sostenibilità, con le competenze solidali di un territorio intero, con le competenze di ingegneri e di legali. Questo ha fatto sì che ci siano arrivate tante proposte. E abbiamo dovuto decidere in delle riunioni che si sono svolte con i solidali in questi venti mesi. Dopo di ciò, ci siamo orientati verso la produzione di pannelli solari e batterie elettriche. Perché questo sia fatto, pensiamo che debba essere fatto con soldi pubblici ad aziende pubbliche e non soldi pubblici ad aziende private, come è stato fatto fino ad ora. Soprattutto, queste aziende devono essere in mano agli stessi dipendenti che, secondo noi, da sempre hanno la capacità per poter portare avanti il lavoro. Perché comunque a noi un’azienda come questa ci davano le linee ma poi si faceva tutto noi. La nostra idea è di creare un polo pubblico che vada verso la mobilità sostenibile. Molto spesso le competenze che riceviamo vengono dai solidali ma potrebbero diventare una partnership con l’università pubblica.
Il collettivo della GKN associa alla lotta sindacale quella contro la discriminazione razziale e di genere e per l’emancipazione dei migranti e della comunità LGBTQI+. Perché è importante unire tutte queste lotte sociali?
F: Noi siamo o eravamo – come vuoi tu – metalmeccanici. I metalmeccanici hanno molto spesso un’idea di vita sociale che si basa da dentro il cancello: si fanno otto ore di lavoro, si esce da lì e non ci si occupa di tutto quello che succede intorno. Una buona parte dei metalmeccanici è questa. È la parte che delega, è la parte sessista. è la parte che butta la sigaretta per terra perché tanto qualcuno poi la raccatterà. Questi venti mesi ci hanno fatto crescere anche dal punto di vista culturale. Ci sono tante domande che prima non ci ponevamo e che, in questa situazione, ci hanno fatto rendere conto che c’è un altro mondo fuori. Quindi abbiamo dato un senso a quello che chiamiamo convergenza, che è stata una cosa faticosissima. Perché comunque venivamo da vent’anni di arretramento del movimento operaio in tanti settori sempre più nascosti e sempre più invisibili: dai precari alle donne, dal movimento LGBTQI+ al discorso dell’ambientalismo radicale o moderato. Tanti fattori che sono parte del tentativo del capitale di dividere per continuare a prosperare. Abbiamo capito che da solo non si salva nessuno. Il nostro esempio è quello di dire: “Non c’è più un lavoro sicuro, in ogni momento puoi essere licenziato. E quindi perché non stare tutti insieme per far valere i diritti di ognuno?” E insieme abbiamo anche dimostrato che ci può essere un futuro diverso da quello che ci vogliono far credere.
Le rivendicazioni della GKN si indirizzano verso la ripresa di uno stabilimento che è localizzato. Voi collettivo vi vedete come parte di un processo politico più grande? Ci sono opinioni diverse all’interno del collettivo?
F: È logico che ci siano idee diverse. C’è l’idea più conservatrice che dice: “teniamoci il nostro e se arriva un altro padrone lo accogliamo a braccia aperte.” C’è l’idea più rivoluzionaria che è quella di essere noi il padrone di noi stessi e quindi creare un precedente che non c’è mai stato. C’è l’idea che si avvale dello stare nel mezzo. Ma questo fa parte d’un processo che è nato da un licenziamento in tronco e dal vivere quotidianamente. Se mi avessero detto che dal 9 di Luglio 2021 saremmo arrivati ad ora con la fabbrica ancora chiusa e avremmo sviluppato un piano industriale, avrei detto: è utopia. Però in realtà tutto quello che è successo mi ha dimostrato che se fai bene le cose e hai le idee chiare e coinvolgi gli altri, questa utopia si può realizzare. Probabilmente, è vero: è un processo localizzato, questo. Però è un processo che se fosse vincente darebbe l’esempio che si può fare. Io dico solo che “non si può fare” è una cosa che dobbiamo toglierci dalla testa. Vincere è un altro discorso ma provarci penso che sia un obbligo. Un obbligo che va al di là di come uno la possa pensare. È una cosa che fa parte dell’essere umano: “Non voglio più essere sfruttato. Non voglio più regalare il mio tempo. Non voglio più usarlo solo per dover lavorare. Non voglio più non avere uno spazio di socialità al di fuori del mio stabilimento, ma lo voglio all’interno.” Capisci bene che le armi del nemico sono tante. Tra le quali quella di lasciarci senza stipendio, di portarci al licenziamento spontaneo, di dividerci. Noi in questo giochino non ci caschiamo. Non molleremo. Ce la faremo. E questo darà il la a molti lavoratori che, quando verranno messi fuori dal cancello, faranno una scelta molto più radicale. “Perché GKN ce l’ha fatta e quindi perché non ce la possiamo fare noi?”